ovvero del ridere per resistere
online da martedì 30 marzo 2021 (sul canale Youtube dell’Istituto Giapponese di Cultura in Roma)
lecture demonstration a cura di Ōkura Motonari
con: Ōkura Motonari e Yoshida Shinkai
prodotto da: Istituto Giapponese di Cultura in Roma
registrato presso Celurian Tower Nogakudo
video realizzato da: AN-Entertaintment.Inc
Traduzione e sottotitoli: Maria Cristina Gasperini
L’Istituto Giapponese di Cultura in Roma presenta – prima sua produzione teatrale online-
KYŌGEN il pazzo teatro del Giappone ovvero del ridere per resistere, lecture demonstration in tre atti a cura di Ōkura Motonari e Yoshida Shinkai. Il programma prevede Il ladro di bonsan盆山Bonsan, Il ladro di kaki柿山伏Kaki Yamabushi e Dietro le quinte Tour 楽屋ツアーGakuya tsuaa, al fine di rendere comprensibile, e godibile, la farsa Kyōgen al pubblico occidentale.
Le caratteristiche sulla scena: assenza di scenografia, pattern performativi e onomatopee fulminanti sul palco. Dietro le quinte: rigore, disciplina, rispetto di ruoli, regole e tempi. Temi comici universali: servo sciocco, padrone scaltro, monaco astuto, furtarelli e imbrogli, sake e tanti animali chiamati in ballo a emettere versi esilaranti per sciogliere situazioni e divertire un pubblico sollecitato a prendere parte alla storia immaginando il non visto.
Spiega Ōkura che il Kyōgen nasce oltre sei secoli fa, in tempi di guerra, per alleggerire gli animi incupiti dalle avversità. Ridere per resistere è dunque la lezione che arriva anche dal Giappone medievale, calzante sempre, e soprattutto nei tempi che stiamo vivendo.
Ōkura Motonari, esponente della omonima dinastia attoriale, è un volto noto alle platee giapponesi e internazionali, grazie anche al film “Falò all’alba” (Yoake no takibiよあけの焚き火, 2019, 72′) , in cui il regista Koichi Doi narra l’iniziazione alla professione del piccolo Yasunari a opera del padre, il maestro Ōkura appunto.
questionario di gradimento QUI
IL LADRO DI BONSAN
IL LADRO DI KAKI
DIETRO LE QUINTE TOUR
Teatro kyōgen. La pazza verità del mondo
di Matteo Casari, Università di Bologna
Il kyōgen è una delle più antiche ed importanti tradizioni teatrali viventi del Giappone. Le sue origini si intrecciano con quelle del nō e con il nō, ancora oggi, condivide la scena dopo oltre sei secoli di ininterrotto percorso parallelo nelle rappresentazioni teatrali del nōgaku: la struttura del nōgaku tradizionale, infatti, prevede l’esecuzione di cinque drammi nō alternati da quattro kyōgen. Questa alternanza è solitamente rispettata anche quando i nō rappresentati sono solo due, tre o quattro in quanto l’intermezzo farsesco del kyōgen era ed è ritenuto necessario per alleviare la tensione prodotta dalle vicende serie e drammaticamente tese del nō.
Il carattere comico e l’accento franco e popolare del kyōgen, sue marche emblematiche, sono state a lungo additate quali motivazioni della sua subalternità – quando non inferiorità – al colto, nobile e raffinato nō.
La severa parzialità di un simile giudizio ha cominciato, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, ad essere messa giustamente in discussione. Progressivamente smantellata l’abitudine di far coincidere il teatro con il testo teatrale, le stupefacenti doti attoriche degli interpreti kyōgen, le strategie drammaturgiche affinate in secoli di tradizione e l’immediatezza affabulatoria di questo genere teatrale hanno dato luogo ad una sua doverosa e giusta rivalutazione.
Sul piano squisitamente testuale non vi è dubbio che il kyōgen – i cui testi cominciarono ad essere fissati solo del XVII secolo – fatichi a raggiungere la complessità e la profondità poetica e letteraria del nō ma sul piano dell’esecuzione e dell’esito spettacolare i due generi possono ritenersi, ognuno con i propri canoni estetici e stilistici, parimenti compiuti. Nō e kyōgen, è giusto sottolinearlo, sono entrambi elementi necessari alla strutturazione di uno dei meccanismi scenici più raffinati ed efficaci che la storia teatrale mondiale abbia mai conosciuto, il jo-ha-kyū (preludio-sviluppo-finale) teorizzato tra XIV e XV secolo da Zeami Motokiyo, riconosciuto padre fondatore del nō e autore di una straordinaria trattatistica teatrale.
L’ipotesi scenica di Zeami, oggi ancora valida, prevede una progressione ritmico formale della rappresentazione in cui i picchi emotivi prodotti dal nō vengano controbilanciati da un azzeramento della tensione – di fatto un picco di segno opposto – reso possibile dal kyōgen. Nel nōgaku, quindi, si invera una sintesi armonica di alto e basso, di aulico e prosaico senza per questo che agli opposti debba essere assegnato un valore rispettivamente positivo o negativo.
La reale dimensione artistica del kyōgen è testimoniata, oltre che dagli atti unici che si frammezzano a due nō, dalla partecipazione dei suoi interpreti ai nō stessi – a volte con ruoli di assoluta centralità come nell’amatissimo Funa Benkei – e alla solenne rappresentazione di Okina, celebrazione rituale solitamente proposta durante i festeggiamenti per l’inizio del nuovo anno.
Le storie portate in scena dal kyōgen sono molto semplici e basate su un plot pressoché fisso in cui il protagonista (shite) e il deuteragonista (ado) creano coppie assurde e surreali nonostante i personaggi rappresentati siano prelevati direttamente dalla quotidianità: signori arroganti e ignoranti accompagnati da servi furbi oppure tonti, giudici disonesti e ladri improbabili, mariti in cerca di avventure amorose bacchettati da consorti bisbetiche, demoni e divinità gabbati da uomini scaltri e poco inclini al sacro e, ovviamente, monaci del tutto dimentichi dei propri voti. I bisogni e gli istinti bassi che governano l’agire dell’uomo, sovente alimentati da abbondanti libagioni di sake, muovono al fondo ogni vicenda.
Genericamente intesa come arte comica il kyōgen porta in scena, oltre alla comicità schietta, anche un pizzico di satira, di critica sociale e di umorismo nero. Un sorriso divertito, più che una risata esplosiva, appare allora l’obiettivo principalmente perseguito.
Okura Toraaki, autore a metà XVII secolo del Warambe gusa – trattato fondamentale per la comprensione dello spirito e delle tecniche del kyōgen –, sostiene che oltre alla comicità, e ancora oltre una qualunque intenzione etica o morale, compito del kyōgen dovrebbe essere un messaggio di uguaglianza umana e una ricerca dell’autenticità sotto il velo della beffa e delle modeste verità del senso comune.
È sempre grazie a Okura Toraaki che il repertorio comincia a fissarsi per iscritto, senza peraltro perdere la sua originaria freschezza, e che la riflessione estetica e tecnica si ispessisce e formalizza.
Delle tre scuole tradizionali, Okura, Izumi e Sagi solo le prime due sono ancora attive: la scuola Okura è proprietaria di centottanta opere, la scuola Izumi di duecentocinquantaquattro mentre centosettantasette sono in comune.
La drammaturgia kyōgen non ha una classificazione univoca. Le varie opere possono essere raggruppate a seconda delle caratteristiche sociali del protagonista, dell’elemento stilistico predominante (canto, dialogo o danza) o ancora del grado di difficoltà interpretativa richiesto.
L’ultima modalità classificatoria ricordata svela come nel kyōgen, al pari del nō, una preparazione rigorosa e una completa dedizione all’arte siano prerequisiti indispensabili per calcare la scena. Non è possibile improvvisarsi attori e la maestria è l’unico grado cui un attore possa giungere per essere ritenuto veramente tale.
Disciplinarsi all’arte, secondo i dettami della tradizione cui si appartiene, è la via che conduce alla capacità di assumere in sé un dato osservato nella realtà – scomponendolo e ricomponendolo per mezzo dell’artificio attorico – per risignificarlo in uno specifico linguaggio scenico. Di qui è possibile giungere a tradurre la natura in arte mantenendola riconoscibile ma rendendola anche misteriosamente altra. La trasfigurazione teatrale della realtà è la risultante di un lungo e non sempre facile apprendistato tecnico durante il quale i modelli base di rappresentazione (kata) vengono introiettati, resi fluidi ed esteticamente ineccepibili.
La scena completamente spoglia, l’assenza di musica, l’uso di pochissimi oggetti scenici rendono l’attore protagonista assoluto della rappresentazione accentuandone i virtuosismi vocali, corporei e della mimica facciale che possono giungere a gradi di sublime parossismo comunicativo: il fare e l’agire, propri del tempo umano del kyōgen, sono il contrappunto strutturale allo ieratico stare e al tempo immoto del nō.
Se l’afflato buddhista insito nel nō denuncia apertamente l’illusorietà e la dolorosa impermanenza del mondo fenomenico, ossia l’inutile vanità del relazionarsi in modo concreto con esso, il kyōgen invita tacitamente ad impattare ripetute volte – la reiterazione verbale e gestuale è probabilmente il suo meccanismo comico più efficace – con la paradossale fisicità dell’esistenza umana per incrinare e infrangere la superficie che ci separa dalla verità ultima e profonda delle cose.
Quando la comprensione giunge, non è sempre un sorriso o una risata ad affiorare? Ma forse questa è solo l’ennesima pazza verità sul mondo.